La storia dell’AVIS

Il racconto del dolore, dell’amore e della vita

Fu nell’anno 1927, la notte del 24 dicembre, a Milano. Mentre sulla città aleggiavano i misteriosi incanti della vigilia natalizia, nel diffondersi di tradizionali armonie, e s’accendevano le luci ai presepi e le candeline agli alberi adornati, una famiglia stava in ansia attorno al letto di una giovane sposa, divenuta da pochi istanti madre di un delizioso bambino.

La gioia per l’attesa nascita si era ben presto tramutata in angoscia profonda poiché la madre era stata colta da una grave emorragia: il sangue usciva a fiotti da quel corpo sofferente ed ogni tentativo per arrestarlo si rivelava inutile.

Il medico, chiamato d’urgenza, era accorso con estrema prontezza. Il suo nome era Vittorio Formentano: uomo di scienza e di grande cuore, giovane d’anni, si prodigava con commovente slancio ed impegno per salvare l’infelice creatura, e il suo mondo interno era tutto un arrovello, ed il suo pensiero si fissava su un interrogativo denso di valori supremi:

Questa giovane donna non chiede altro che vita: lo dice il suo volto che si fa sempre più pallido, lo invoca il suo polso che batte sempre più debolmente. Che cos’è dunque la vita? Che cos’è, nel momento in cui una creatura umana è sul punto di perderla?… E’ una richiesta d’amore, rivolta a chi possiede la pienezza della validità fisica, è l’invocazione lanciata a chi è consapevole che la generosità non può rimanere chiusa nel cuore, custodita come un patrimonio personale, poiché allora muterebbe il suo nome in quello di egoismo, ma deve uscire, esprimersi concretamente, raggiungere il richiamo, abbracciare il dolore, condividerlo con chi soffre, gioire di averlo alleviato con il proprio aiuto soccorrevole…
Ecco: questa giovane che chiede vita, ancora vita, è una madre: vuole vivere per il suo bambino, frutto d’amore, per trasfondere amore in lui, tenera e promettente realtà. Se così grandioso, sublime è questo dono che ha nome vita, perché, in quest’ora angosciante e terribile, l’uomo è incapace di raggiungere ciò che sente nel cuore? Perché la scienza non basta? Che cosa occorre ancora, oltre la scienza e l’amore?… Occorre la volontà: volontà di amare servendo la scienza. Ecco ciò che occorre!”

Questo mondo di pensieri aveva invaso la mente e il cuore di Vittorio Formentano con la rapidità del baleno. Levò il capo, risolutamente; si rivolse ai familiari. Quest’ammalata ha bisogno di sangue: ne ha già perduto fin troppo ed è in pericolo di vita. Solo il sangue la può salvare: chi di loro è disposto a donarne un po’ del proprio?

I presenti ebbero un sussulto: per loro, dare il sangue era cosa mai prevista, neppure pensata. Ma la domanda del medico era chiara, inequivocabile, perentoria, ultimativa. Bisognava rispondere sì o no non c’erano vie di mezzo.

Nessuno si rifiutò. Il medico ebbe un’espressione di sollievo; gli occhi gli s’illuminarono e subito disse: E’ necessario stabilire chi di loro ha il sangue adatto per la trasfusione. Bisogna fare la prova del gruppo. Non perdiamo tempo. A ciascuno fu prelevata una piccola quantità di sangue, che il dottor Formentano subito esaminava e ad ogni esame scrollava il capo come per dire: “Questo non va bene… questo neppure… e neppure quest’altro!”. La fronte imperlata di sudore, volgeva lo sguardo alla giovane sposa che aveva ormai il viso cereo e proseguiva negli esami col cuore appeso ad un filo di speranza. “Troverò il sangue compatibile per salvare questa creatura oppure dovrò rimanere sconfitto, lasciando che proprio nella notte di Natale, in questa casa dove è entrata la vita, entri anche la morte? Sarebbe atroce!…”

Compì l’ultimo esame in un silenzio angoscioso ed ebbe come uno schianto nell’anima: non vi era sangue del tipo adatto per essere trasfuso. Lo dovette dire, con le lacrime agli occhi, ai familiari. Poco dopo la giovane sposa esalava l’ultimo respiro.

Triste Natale! Il dottor Vittorio Formentano uscì da quella casa con cuore in tumulto. “Non è possibile! – diceva fra sé – Non è possibile che una giovane creatura muoia perché manca quel tipo di sangue che può darle la salvezza, ridarle la vita. Bisogna fare qualcosa. E’ mio dovere, e lo farò!”.

Nel cielo notturno gli angeli cantavano gloria annunziando la nascita del Salvatore e promettendo pace agli uomini di buona volontà; in quello stesso momento nascevano nella mente e nel cuore di Vittorio Formentano il buon pensiero, la promessa, il fermo proposito di dedicare la propria vita per chiamare a raccolta ed organizzare gli uomini generosi, disposti a donare “sempre, ovunque, subito” e senza nulla chiedere per sé, un po’ del proprio sangue, affinché a nessuno mancasse questo soccorso e in ogni circostanza fosse possibile assicurare ai medici il prezioso liquido, per la salvezza di quanti si trovano in pericolo di vita, o comunque nel bisogno di una trasfusione vivificatrice.

Dall’appello, lanciato per le vie della stampa da Vittorio Formentano, e dalla pronta risposta di un primo manipolo di generosi, vide la luce un’associazione di volontari, oggi chiamata con una sigla divenuta popolare e amatissima: AVIS. Come il sangue dei martiri fiorisce in una fede che costruisce il mondo, così il sacrificio di una giovane madre creò, nella lontana notte di Natale del 1927, una nuova strada della vita, aperta dall’uomo che, in quella notte di nascita e di morte, per vita soffrì e s’impegnò, con una promesse che fu mantenuta e aprì gli orizzonti dell’umana fratellanza ad una nuova primavera.

Il Salvatore degli uomini disse un giorno ai discepoli Andrea e Filippo: “Se il chicco di frumento non cade in terra e muore, resta solo; se invece muore porta molto frutto”. La seminagione di nuova vita che ha nome AVIS ebbe origine dal sacrificio di una madre, in una notte natalizia di oltre ottant’anni fa.